Le virtù cardinali nella chiesa di San Carlino a Ravenna

La Chiesa di San Carlino è un piccolo capolavoro del settecento ravennate.
Virtù della prudenza
Virtù della prudenza, Chiesa di San Carlino, Ravenna

La Chiesa di San Carlino è un piccolo capolavoro del settecento ravennate. La sua fondazione, in realtà, è molto più antica – risale al 1062 – ma, per come appare oggi, è il frutto di una pressoché radicale opera di ricostruzione voluta dalla famiglia Dal Corno, patrona dell’oratorio, commissionata a Domenico Barbiani (1714-1777), architetto e decoratore, coadiuvato dallo stuccatore Giuliano Garavini[1]. Alla base della volta nella quale sono raffigurati i santi titolari del piccolo oratorio – Simone e Giuda Taddeo, Fabiano e Sebastiano – sono dipinte le quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.
Le virtù umane, come leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica, sono «attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali dell’intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e guidano la nostra condotta secondo la ragione e la fede»[2]. Tra esse quattro hanno la funzione di cardine, sono cioè la base per una vita morale retta; per questo sono dette virtù cardinali. Il libro della Sapienza enumerando le grandi virtù dei filosofi greci, le rilegge applicandole alla Sapienza: «Se uno ama la giustizia, le virtù sono il frutto delle sue fatiche. Ella infatti insegna la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini durante la vita» (Sapienza 8, 7). L’iconografia, solitamente, presenta queste quattro virtù attraverso altrettante figure femminili alle quali, di volta in volta, si accompagnano particolari segni. Cesare Ripa, nel suo grande lessico figurativo che è l’Iconologia raccoglie molteplici tradizioni, realizzando uno strumento prezioso che ha accompagnato, ispirandoli, pittori e scultori per i secoli a venire e anche il Barbiani, nella progettazione ed esecuzione delle pitture per la chiesa di San Carlino, ne ha colto numerosi spunti. Sulla parete destra del piccolo oratorio, procedendo verso l’altare, la prima virtù che si incontra è giustizia, quella virtù morale che – come recita il Catechismo – «consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto»[3]. Il Barbiani la raffigura come una donna che tiene in mano spada e bilancia, simboli, questi ultimi, che il Ripa aveva ben descritto: «Donna con la spada alta, coronata nel mezzo di corona regale, e con la Bilancia (…). La spada alta nota che la giustizia non si deve piegare da alcuna banda, né per amicizia, né per odio di qualsivoglia persona, et all’ora è lodevole e mantenimento dell’imperio. Per le bilancie ne servirà quanto per dichiarazione abbiamo detto nella quarta beatitudine»[4]; «Quarta Beatitudine. E’ la Fame e la Sete della Giustizia (…). Si farà Donzella, che tenga un paio di bilancie, et ugualmente pesando, e vi sia un Diavolo in atto di volerle prendere, et essa con una spada che tiene nell’altra mano lo scaccia (…). Le Bilancie notano per se stesse metaforicamente la giustitia, perchè, come esse aggiustano le cose gravi e materiali, così essa, che è virtù, aggiusta i beni dell’animo, e pon regola all’azioni dell’uomo»[5]. Alla giustizia fa seguito la temperanza, quella virtù che contiene le passioni rendendo capaci di gestire con equilibrio i beni materiali[6]. Qui in San Carlino essa compare come una donna che regge in una mano una brocca dalla quale esce acqua, mentre nell’altra una tenaglia che stringe un carbone ardente, secondo una delle interpretazioni proposte dal Ripa nella sua Iconologia: «Donna di bello aspetto, con capelli lunghi e biondi, nella destra mano terrà una tenaglia con un ferro infocato, e nella sinistra un vaso di acqua, nel quale tempera quel ferro ardente»[7]. Difronte alla virtù della temperanza è la prudenza che nel Catechismo viene descritta come la virtù che guida il giudizio di coscienza: «La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo»[8]. Essa è stata raffigurata come una donna che con uno specchio si guarda alle spalle; scrive il Ripa: «Nella sinistra terrà lo specchio, nel quale mirando contempla sé stessa (…). Lo specchio significa la cognizione del prudente non poter regolare le sue azioni, se i propri suoi difetti non conosce e corregge. E questo intendeva Socrate quando esortava i suoi Scolari a riguardar se medesimi ogni mattina nello specchio»[9]. Da ultima è la fortezza, quella virtù morale che rende decisi e tenaci nell’aspirare al bene anche nelle avversità[10]. Qui è stata simboleggiata da una giovane donna abbracciata ad un tronco di colonna, mentre in una mano regge una frasca. Scrive il Ripa a proposito di essa: «S’appoggia questa donna ad una colonna, perché delle parti dell’edifizio questa è la più forte, che l’altra sostiene (…) nella destra mano terrà un’asta, con un ramo di rovere»[11]. Quest’ultima virtù, in San Carlino, si arricchisce di una nota importante e al tempo stesso curiosa; è ai piedi della fortezza che Domenico Barbiani pone la sua firma, in parte visibile sopra al cornicione: «Dominicus Barbiani architectavit et pinxit a. d. 1762».

Giovanni Gardini

[1] Per la chiesa di San Carlino si veda: M. Mazzotti, Una chiesa ai più sconosciuta: San Carlino, in Bollettino economico della Camera di commercio, Ravenna, n. 6 (giu. 1956), pp. 9-12. Dal 1987 sino al 2001, sono stati condotti importanti lavori di restauro, opere di consolidamento sia della struttura sia degli apparati decorativi (si veda al proposito il piccolo opuscolo edito in occasione dell’inaugurazione dell’oratorio: AA.VV., Chiesa di San Carlino già dei Ss. Simone e Giuda e Ss. Fabiano e Sebastiano), ai quali tuttavia non ha fatto seguito una piena valorizzazione dell’edificio. Per la figura di Domenico Barbiani si veda il contributo di M. Gori, Domenico Barbiani, pittore «quadraturista» e architetto (1714-1777) in N. Ceroni-G. Viroli (a cura di), La bottega dei Barbiani. Due secoli d’arte a Ravenna, Ravenna 1994, pp. 119-125, con una particolare attenzione alla p. 122. [2] CCC, n. 1804 [3] CCC, n. 1807 [4] C. Ripa, Iconologia, Torino 2012, p. 231. [5] C. Ripa, p. 58. [6] Cf. CCC 1809 [7] C. Ripa, p. 567. [8] CCC n. 1806 [9] C. Ripa, pp. 492-493. [10] Cf. CCC n. 1808 [11] C. Ripa, pp. 203-204.

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