Massimiano arcivescovo di Ravenna

L’arcivescovo Massimiano, il ventisettesimo successore di Apollinare, sedette sulla cattedra episcopale ravennate tra il 546 e il 556.
Corteo imperiale
Corteo imperiale, San Vitale, VI secolo, Ravenna

Il 14 ottobre del 546, a Patrasso, Massimiano fu consacrato vescovo da Papa Vigilio per volontà dell’imperatore Giustiniano.

L’arcivescovo Massimiano, il ventisettesimo successore di Apollinare, sedette sulla cattedra episcopale ravennate tra il 546 e il 556 e, come ebbe a scrivere Giovanni Lucchesi, «divenne per le sue qualità uno dei personaggi di maggior rilievo in Italia nel sec. IV»[1].

Andrea Agnello, nel Liber Pontificalis della chiesa ravennate, ci restituisce una biografia articolata, una delle più ampie e ricche di notizie, probabilmente ricavata da ricerche d’archivio, dagli scritti dello stesso Massimiano, senza dimenticare i monumenti e le iscrizioni che, al tempo dello Storico, nel IX secolo, erano maggiori di quanti non se ne siano conservati oggi[2]. Egli è presentato come buon pastore del gregge: «Mai dilaniò le sue pecore, mai le morse, mai le percosse, ma le incoraggiò con la parola, le nutrì con gli alimenti, ammonì gli incerti, richiamò gli erranti, raccolse i dispersi, servì il povero, partecipò al dolore del tribolato (…); con la sua mansuetudine fece umili i cuori dei suoi nemici, per realizzare quanto sta scritto: Non farti vincere dal male, ma vinci col bene il male, e in altro luogo: Nella vostra pazienza possederete le anime vostre»[3].

«Massimiano era di alta statura, di corporatura esile, macilento in volto, calvo sul capo, con pochi capelli e occhi azzurri, bello nell’aspetto generale»[4]. Con queste parole prende avvio il testo agnelliano, una descrizione, questa, che non può non ricordare il volto solenne di Massimiano come ancora oggi si può ammirare nel presbiterio della Basilica di San Vitale dove è raffigurato accanto all’imperatore Giustiniano, un’immagine corredata dall’iscrizione musiva Maximianus; Mazzotti, a commento di questo straordinario mosaico, spende parole profonde: Massimiano «ha in mano la croce gemmata, lo precedono i suoi diaconi, lo segue Giustiniano, che sta per trasmettergli le offerte liturgiche. È raffigurato nella pienezza della sua dignità e delle sue funzioni vescovili (…). Ha di contro l’Augusta e sopra il Cristo trionfatore. Credo si possa affermare, che in questa raffigurazione è in sintesi tutta l’attività svolta da quest’uomo, la cui figura si staglia ancora gigante nella storia di Ravenna che pure è così ricca di uomini di eccezionale valore ed i cui nomi, attraverso i secoli, rimangono indelebilmente uniti alle glorie nostre e non solo nostre»[5].

Andrea Agnello, fin da subito, ricorda inoltre che «era pecora estranea proveniente dalla chiesa di Pola», un’affermazione che darà la possibilità allo Storico di aprire un’ampia narrazione nella quale raccontare il suo profondo legame con l’imperatore.

Il suo episcopato è caratterizzato da un’ampia attività edilizia: «La sua operosità costruttiva – scrive Mazzotti – è semplicemente gigantesca tanto più se si tien conto che il suo episcopato non ha raggiunto il decennio pieno. I più meravigliosi capolavori dell’arte nostra ravennate del secolo VI sono opere sue»[6]. A questo tema Mazzotti dedica uno studio ampio e puntuale nel quale individua le chiese che Massimiano completò e consacrò, gli edifici cui portò modifiche o restauri e infine i monumenti da lui costruiti ex novo sia in ambito ravennate sia istriano.

Tra gli edifici interessati dall’opera di Massimiano trovano un posto d’onore la già citata Basilica di San Vitale e la straordinaria Basilica di Sant’Apollinare in Classe dove il suo nome, ancor oggi, è visibile nell’iscrizione di VI secolo, un testo epigrafico importantissimo che cita Massimiano in due passaggi cruciali: è lui a introdurre il sarcofago con le reliquie del Santo protovescovo all’interno della Basilica, è lui a dedicare la Basilica il 9 maggio del 549[7].

Se questi due straordinari monumenti ancora oggi custodiscono il suo nome, e altri andrebbero giustamente ricordati – solo per citarne alcuni si pensi a San Michele in Africisco, a Sant’Agnese, alla Basilica Probiana, ai lavori in Episcopio… – non possiamo non parlare, seppur come accenno, della Basilica di Sant’Andrea Maggiore. Questo edificio di culto appartiene a quella serie di chiese che durante il suo episcopato furono oggetto di interventi: «con ogni cura la fece sostenere da colonne di marmo e, tolte le vecchie strutture di legno di noce, la decorò di marmo del Proconneso» leggiamo nel Liber Pontificalis[8]. Questa chiesa fu scelta da Massimiano come luogo della sua sepoltura e lì rimasero le sue spoglie mortali fino a che, sconsacrata, non fu ridotta a usi civili e le sue reliquie portate in Cattedrale; di questo antichissimo edificio rimangono alcune tracce, alcune visibili anche dalla strada – via Ercolana -, altre sono notizie desunte dalle Guide o da studi che sono stati dedicati a questo edificio o area[9].

In questa Basilica Massimiano depose una reliquia dell’apostolo Andrea e lì, come accennato, desiderò essere sepolto, vicino all’altare. Andrea Agnello non solo è testimone oculare del fatto che ancora ai suoi tempi lì fossero custodite le spoglie mortali del santo vescovo, ma anche della ricognizione della sua sepoltura: «Nell’anno quindicesimo dell’arcivescovo Petronace, mentre noi singolarmente lo esortavamo con le nostre parole a togliere da sottoterra e collocare più in alto il corpo predetto del beato Massimiano, un giorno, rientrando in sè, ordinò che tutti noi sacerdoti andassimo con lui nella chiesa di Sant’Andrea; detta una preghiera nei nostri cuori, egli ordinò ai muratori di sollevare la lapide (…). Sollevata la pietra che chiudeva l’arca, apparvero le ossa del beato Massimiano in mezzo all’acqua perché l’urna era piena d’acqua. Quando vedemmo, cominciammo a piangere intensamente insieme col nostro vescovo, e piangendo dicevamo tra di noi: «Dove sono, pastore Massimiano, le tue pecore, dove il tuo gregge e il tuo popolo, che acquisti per il Signore? Dove sono i tuoi moniti, le tue dolci parole, la tua santa predicazione, la tua dottrina? (…) Se ti cerchiamo e ti amiamo noi, quanto più sarai stato amabile per tutti coloro che ti conobbero?»[10].

Dal 1809 le sue reliquie sono custodite in Cattedrale all’interno di un bellissimo sarcofago, proveniente dalla Basilica di Sant’Agnese e datato al V secolo; esso costituisce l’altare della Cappella del Santissimo Crocifisso.

Un’iscrizione posta alla base dell’urna ricorda la consacrazione dell’altare e la reposizione delle reliquie dei santi vescovi Massimiano ed Esuperanzio al suo interno a opera dell’arcivescovo Antonio Codronchi[11].

Da ultimo va ricordata la cattedra di Massimiano che il Museo Arcivescovile di Ravenna custodisce come uno tra i suoi tesori più preziosi; il suo monogramma, scolpito nell’avorio, ancora oggi ci parla di questo santo vescovo della chiesa ravennate e del suo instancabile annuncio della parola buona del Vangelo[12].

Giovanni Gardini

[1] G. Lucchesi, Massimiano, in Bibliotheca Sanctorum, Vol. IX, Città Nuova 1967, coll. 16-20. M. Mazzotti, Massimiano di Pola, in Pagine istriane, A. 1, n. 4 (nov. 1950), Editoriale libraria, Trieste 1950, pp. 14-21; G. Montanari, Massimiano arcivescovo di Ravenna (546-556) come committente in Ravenna. L’iconologia. Saggi di interpretazione culturale e religiosa dei cicli musivi, Longo Editore, Ravenna 2002, pp. 11-53; sempre in questa raccolta miscellanea di testi di Montanari si veda alle pp. 139-148: Giuseppe l’Ebreo della Cattedra di Massimiano: prototipo del Buon governo?

[2] D. Mauskopf Deliyannis (a cura di), Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, in Corpus Christianorum cxcix, Cambridge 2006, pp. 238-251. Per la traduzione italiana si veda: M. Pierpaoli (traduzione e note di), Il libro di Agnello Istorico. Le vicende di Ravenna antica fra storia e realtà, Diamond Byte, Ravenna 1988, pp. 95-104.

[3] Pierpaoli 1988, p. 103.

[4] Pierpaoli 1988, p. 95. Il Liber Pontificalis ricorda altri ritratti dell’arcivescovo Massimiano.

[5] Mazzotti 1950, p. 14.

[6] Mazzotti 1950, p. 17.

[7] «In hoc loco stetit arca beati Apolenaris sacerdotis et confessoris a tempore transitus sui usque dia e qua per virum beat. Maximianum Episcopum translata est et introducta in Basilica quam Iulianus Argentarius a fundamentis aedificavit et dedicata ad eodem viro beatissm. D. VII. Id. maiarum ind. Duodec. octies pc. Basili Iun.»; In questo luogo stette l’arca del beato Apollinare sacerdote e confessore dal tempo del suo trapasso fino al giorno in cui per mezzo del Beato Massimiano vescovo fu trasportata e introdotta nella basilica che Giuliano Argentario edificò dalle fondamenta e fu dedicata dal medesimo beatissimo uomo il 9 maggio nella indizione XII, l’anno XIII dopo il consolato di Basilio Iunior, cf. A. Benini, La Basilica di S. Apollinare in Classe. Storia ed Arte, Ravenna Arti Grafiche 1950, II edizione, p. 62.

«Anche se alla sua venuta le due basiliche, che ancora sussistono, erano strutturalmente complete o quasi, a lui si deve non solo la consacrazione ufficiale dei templi, ma, quel che più conta, a Massimiano si deve nel suo concetto e nella sua esecuzione, la grande decorazione musiva», Mazzotti 1950, p. 17.

[8] Pierpaoli 1988, p. 99.

[9] Riporto, giusto a titolo esemplificativo, due brevi testi: «Dopo ch’era stata rimaneggiata nel sec. XI e nel XVII, fu anch’essa sconsacrata agli inizi del secolo scorso ed i miseri avanzi di essa sono oggi incorporati in una casa di civile abitazione», M. Mazzotti, L’attività edilizia di Massimiano di Pola, in Felix Ravenna, Terza Serie, agosto 1956, fasc. 50 (LXXI), Ravenna 1956, p. 15; «Era una chiesa a tre navate di cui rimangono alcun parti dell’XI secolo, incorporate nei muri delle case al n. 31 di via Ercolana. Nel magazzino al n. 33 c’è un pulvino della navata destra e sono disegnate le linee degli archi; nell’andito della casa al n. 29 c’è un altro pulvino, e così pure nell’orto dei Cappuccini. La chiesa fu demolita agli inizi del secolo scorso», W. Bendazzi – R. Ricci, Ravenna. Mosaici, arte, storia, archeologia, monumenti, musei, Edizioni Sirri, Ravenna 1987, p. 179.

[10] Pierpaoli 1988, p. 104.

[11] Per notizie più approfondite sulle reliquie di San Massimiano e l’ultima ricognizione avvenuta al tempo dell’arcivescovo Giacomo Lercaro si veda: G. Gardini, I Sarcofagi della basilica metropolitana, in Libro aperto, Annali Romagna 2014, pp. 37-40. La secentesca urna lignea che l’arcivescovo Torreggiani commissionò per le reliquie di San Massimiano quando ancora erano nella Basilica di Sant’Andrea e successivamente collocata nel 1809 all’interno del sarcofago in cattedrale, dal 1961 si trova all’interno dell’altare maggiore del Duomo.

[12] Nella stessa sala dove è presente la Cattedra è custodito un pulvino con sopra inciso il monogramma di Massimiano.

PDF tratto da RisVeglio Duemila: pagina-7

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