Monaci

Per tutta la vita e attraverso i periodi artistici percorsi, la rappresentazione dei monaci, e con essi dell’esperienza monastica, è stata per Paolo Tarcisio Generali un filo condu

Silenzio e colore nell’opera pittorica di Padre Paolo Tarcisio Generali

Se dovessimo dire quali siano stati i temi pittorici prediletti da Padre Paolo Tarcisio Generali certamente dovremmo indicare, oltre ai paesaggi e alle nature morte, quello dei monaci. Per tutta la vita e attraverso i periodi artistici percorsi, la rappresentazione dei monaci, e con essi dell’esperienza monastica, è stata per lui un filo conduttore imprescindibile; dalla fremente pittura del periodo rosa, a quella geometrica della metà degli anni 50, fino all’esplosione cromatica degli anni ’60 dove ormai ha abbandonato definitivamente il pennello in favore della spatola, d’ora in poi mezzo espressivo privilegiato.

Questo dei monaci, per Generali, è un tema intimo, generativo, dal sapore necessariamente autobiografico, lui che, già adulto, aveva abbracciato la vita monastica e aveva fatto della cella il suo studio di pittura. Attraverso i suoi quadri, pare quasi possibile ripercorrere la sua esistenza.
Nella prima luce dell’aurora egli raffigura un monaco che, seduto sulla soglia della sua cella, è intento nella lettura dei sacri testi. «Meditazione», annoterà dietro all’opera, come a voler dare non solo un titolo al suo quadro, ma anche a tradurre visivamente una esperienza tutta interiore. Un altro dipinto mostra un monaco immerso nella foresta, solenne e austero, chiuso nella sua cocolla sulla quale, delicatamente, si posano i primi raggi del sole che allontanano la notte e avvolgono in una luce rosata tutta la scena.  Non potrebbero essere, questi, suoi autoritratti?

Oltre alle solitarie ed eteree figure, talvolta rappresenta la comunità raccolta in preghiera. «Lettura di compieta», intitola il quadro nel quale, custoditi dal coro monastico, stanno i monaci sui loro scranni, riuniti per la preghiera della sera, a chiusura della giornata ritmata dal canto del salterio. Solo fra Martino è in piedi, come è annotato sul retro della tavola dove sono riportati i nomi dei suoi confratelli: don Basilio, don Raffaele, don Vittore, fra Mariano. A questi aggiunge anche il suo nome; anch’egli è lì, quasi a dire che il suo autoritratto è inscindibile da quello degli altri monaci. Don Basilio è nuovamente ritratto, ora nella cella di Fra Michele, e pare quasi udirla la voce di Padre Tarcisio a chiedere di poter riprodurre, nella leggerezza dei colori, questa conversazione tra uomini. A Monte Giove dipinge anche la porta della sua cella che si mostra come un trionfo di colori tenacemente trattenuti dalla rigidità delle linee. La porta è spalancata e offre allo sguardo un cielo di un giallo intenso di pura luce.  «Ha posato don Alberico a Monte Giove il 17 ottobre 1958», scrive dietro ad un olio su masonite, perché tutto viene registrato in queste opere realizzate a Monte Giove, quasi fossero le pagine di un diario. Assiso su uno scranno al pari di un imperatore sul trono è dunque don Alberico, le cui candide vesti hanno ceduto il passo ad un verde intenso, cupo come quello di un abete.

Conversazione monastica è il titolo di un’opera dei primi anni ’70, dove due monaci color mattone si fondono nelle identiche cromie della parete; emergono appena, grazie ai loro volumi che invadono l’intero quadro. Ormai i colori sono trasfigurati; sgorgano dal desiderio del pittore, non più dall’aderenza alla realtà. Con i colori di uno splendido tramonto di agosto è rappresentato un gruppo di monaci. Alcuni sono raffigurati di spalle, di uno addirittura non si vede nemmeno il volto. Di un arancione intenso sono gli altri profili, assorti e silenziosi. Quasi in attesa.

Testo realizzato per la mostra a Serra de’Conti, 3 marzo – 8 aprile 2018 in occasione del 650° anno dalla morte del Beato Gherardo.

Giovanni Gardini

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