Cieli di piombo

Leggere e impalpabili come le immagini sull’acqua, fugaci e come sospese nel riflesso di un vetro, vaghe e sfuggenti come il ricordo di un sogno sono le opere di Paola Babini.
Paola Babini
Paola Babini

Leggere e impalpabili come le immagini sull’acqua, fugaci e come sospese nel riflesso di un vetro, vaghe e sfuggenti come il ricordo di un sogno al mattino sono le opere di Paola Babini. Dai suoi quadri emergono silenziose stratificazioni di tempi e di luoghi e le architetture dell’uomo si fondono e confondono con quelle della natura per dare vita a inediti paesaggi. 

Il profilo di una statua classica, un atleta dal corpo fiero, incrocia ed entra nelle rigide geometrie di una abitazione moderna e le loro linee si intrecciano, quasi a rafforzarsi vicendevolmente, in ascolto del reciproco silenzio. Alberi spogliati dal freddo e aspro vento dell’inverno offrono i loro rami al cielo; si vorrebbero intravvedere luminose gemme nella speranza che la primavera ritorni e più non ghiacci. Talora appare un casolare lungo la piatta campagna, altre volte file di case offrono allo sguardo un orizzonte sicuro. Pare di vedere un palazzo, ma è solo il riflesso di una finestra, i cui riquadri ingannano l’occhio e si fingono grattacielo. Un pettirosso, libero e delicato, si affaccia tra le arcate di un chiostro e ne resta incantato. Disegni arcaici, quasi pitture rupestri, si intravvedono come segni primordiali e confermano l’energia di un gesto deciso e al tempo stesso delicato, profondamente femminile.  

Queste immagini, ricordi offerti come elementi singoli e isolati, restituiscono l’origine del processo visionario dell’artista che in esse riconosce il momento sorgivo del suo gesto creativo. C’è la necessità, per Paola Babini, di carpire – vorace – la realtà e le situazioni che le sono intorno per eternare, attraverso la fotografia, uno scorcio particolare, il folto di un bosco, l’imponenza di una architettura o semplicemente un’ombra che il sole trascina lunga e pigra su un muro. La fotografia è dunque solo un pretesto per custodire la bellezza e archiviare il tempo. Questi frammenti dello sguardo – dove lo sguardo è esercizio continuo e volontà decisa a scrutare ciò che non tutti vedono – costituiscono preziose memorie che, nel lavoro artistico, sono generate a nuova vita in un costante e mai identico lavoro di composizione. Incessante è la stratificazione di ricordi, continuamente trasformati in trasparenze e colore.

Il colore, avvertito come necessità irrinunciabile, viene dato attraverso un continuo gioco di sovrapposizioni dove i fogli di acetato, sui quali sono impresse meccanicamente le immagini, sembrano ampie e spesse pennellate; il colore è sempre mediato dalla visione interiore, quindi mai esercizio pedante di restituzione di ciò che l’occhio vede, ma meditazione profonda e rielaborazione dell’esistenza.  

In queste opere la trasparenza è annunciata, ma mai consegnata per intero, perché è cosa fragile e potrebbe sciuparsi: bastano una sola folata di vento per increspare il riflesso di un albero sulla superficie di un lago o un’onda, pur lieve, a oscurare il fondo e intorbidire lo sguardo. La trasparenza è tensione al cielo che, quando è terso, invade di luce la campagna, i campi, i fossi, il grano. 

In questo continuo richiamo di sovrapposizioni le immagini, talvolta, si sdoppiano o si dissolvono, mai si ricompongono, perché nel sogno non tutto appare nitido e chiaro. Sta all’osservatore entrare in queste visioni oniriche e in esse districarsi o deliberatamente perdersi. Sta all’osservatore più attento decifrare le iconografie o assaporare il segno della pennellata sulla carta ruvida e gli acrilici densi perché – e non poteva non essere altrimenti – il gesto della pittura mai è stato abbandonato. 

Sopra a tutto stanno gli alberi, un motivo persistente nelle opere di Paola Babini. Sono quelli dei boschi, ma più spesso quelli della campagna d’inverno, solitari in mezzo a un campo o presso un casolare, possenti nelle loro architetture vegetali, i cui rami bucano, quasi fossero artigli, insondabili cieli di piombo. 

Giovanni Gardini

Paola Babini

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