«HA VINTO IL LEONE DELLA TRIBÙ DI GIUDA»

L’iconografia del leone, che travalica tradizioni culturali e religiose, è articolata e complessa e in essa si sono stratificati significati tra loro contraddittori.
San Marco
San Marco, Basilica di San Vitale, Ravenna, VI secolo

Brevi note sulle iconografie del leone presenti nella città di Ravenna

L’iconografia del leone, che travalica tradizioni culturali e religiose, è articolata e complessa e in essa si sono stratificati significati tra loro contraddittori. Sin dall’antichità esso è simbolo di forza e di potenza, di coraggio e di vittoria oltre che di giustizia e di rettitudine. Il leone è figura solare, di fuoco, di morte e di rinascita. La rappresentazione del leone è associata alle divinità o a contesti sacri – spesso è il custode delle porte, la sua presenza segna il passaggio dallo spazio cultuale a quello profano – oltre ad essere collegata a immagini e a ornamenti regali. La figura del leone, allo stesso tempo, può essere interpretata anche in chiave negativa in quanto custode degli inferi o in relazione alle potenze demoniache. Celebre, nella tradizione cristiana, è il passo della prima lettera di Pietro: «Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1 Pt 5, 8). 

Nella tradizione ebraica il patriarca Giacobbe benedice il figlio Giuda riconoscendo in lui un giovane leone (Gen 49,9), mentre in quella cristiana l’immagine di vittoria connessa alla tribù di Giuda è indissolubilmente legata alla presenza del Messia: «Non piangere: ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli», si legge in Apocalisse (Ap 5, 5). Nella tradizione biblica, inoltre, il leone – unitamente all’immagine del vitello, dell’aquila e dell’uomo – è associato al tetramorfo, una presenza misteriosa che compare nelle visioni di Ezechiele in relazione al carro del Signore (Ez 1, 10) e che sarà ripresa e reinterpretata nel libro di Apocalisse nella figura di quattro esseri viventi che risplendono davanti al trono dell’Altissimo: «In mezzo al trono e attorno al trono vi erano quattro esseri viventi, pieni d’occhi davanti e dietro. Il primo vivente era simile a un leone; il secondo vivente era simile a un vitello; il terzo vivente aveva l’aspetto come di un uomo; il quarto vivente era simile a un’aquila che vola» (Ap 4, 7). I Padri della Chiesa riconosceranno nelle figure dei quattro esseri viventi quelle degli evangelisti posti davanti al trono di Cristo, un’interpretazione che troverà pieno riscontro già nell’arte paleocristiana. All’evangelista Marco sarà associato il simbolo del leone. Il leone, inoltre, diverrà un attributo iconografico di alcuni santi come ad esempio san Girolamo. 

Data la sua ampia valenza semantica, la figura del leone compare lungo i secoli in numerosi contesti, anche molto diversi tra loro.

A Ravenna la sua presenza emerge innanzitutto nello stemma della città nel quale due leoni rampanti, su campi oro e rosso, sono affrontati a un pino. Nella volta stellata del cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia il leone, unitamente agli altri esseri viventi, è posto a corona della croce aurea, simbolo del trono di Cristo, mentre nella Cappella Arcivescovile di Sant’Andrea, nella Basilica di San Vitale e nella Basilica di Sant’Apollinare in Classe è simbolo dell’evangelista Marco. Il leone di San Marco, durante la dominazione della Serenissima, compariva su una delle due colonne in Piazza del Popolo, mentre un altro leone veneziano lo si può ancora ammirare alla Rocca Brancaleone. Il leone, ovviamente, è presente anche nella Venezia incatenata, una statua di Enrico Pazzi conservata al Museo Nazionale. Il leone, simbolo di forza, si trova come elemento decorativo nella corazza di Guidarello Guidarelli la cui celebre figura è scolpita nella lastra sepolcrale conservata al Museo d’Arte della Città di Ravenna.  

Fieri leoni decorano la cattedra d’avorio dell’arcivescovo Massimiano, capolavoro dell’arte bizantina della metà del VI secolo, e la loro presenza non può non richiamare alla mente il trono del sapiente Salomone descritto nel primo libro dei Re: «Inoltre, il re fece un grande trono d’avorio, che rivestì d’oro fino. Il trono aveva sei gradini; nella parte posteriore il trono aveva una sommità rotonda, vi erano braccioli da una parte e dall’altra del sedile e due leoni che stavano a fianco dei braccioli. Dodici leoni si ergevano di qua e di là, sui sei gradini; una cosa simile non si era mai fatta in nessun regno» (1 Re 10, 18-20). 

Immagini di possenti leoni, posti all’interno di ampi cerchi disposti su file sovrapposte, compaiono anche nel preziosissimo sciamito proveniente dalla tomba di san Giuliano a Rimini, quello che era posto sotto la testa del santo, ora conservato nel Museo Nazionale di Ravenna. 

L’immagine del Cristo vittorioso che schiaccia la testa al leone e al serpente, bestie feroci interpretate come simboli del male (cf. Sal 90, 13), si può ammirare nel mosaico della Cappella Arcivescovile e in uno stucco del Battistero Neoniano. Una diversa versione iconografica, ma simile nel significato, è presente nel sarcofago Pignatta all’interno del Quadrarco di Braccioforte nel quale anche gli apostoli Pietro e Paolo sono associati al Signore nella vittoria sulle potenze del male. Un’altra significativa iconografia legata alla figura di questa bestia feroce è quella di Daniele nella fossa dei leoni, un’immagine di chiara ispirazione biblica (Dn 6, 17-25; Dn 14, 31-42). Fin dai primi secoli della tradizione cristiana la storia del profeta Daniele è stata interpretata come prefigurazione della vittoria di Cristo sulla morte e, in quanto immagine di resurrezione, ha avuto un’enorme fortuna iconografica. Al proposito Afraate, nelle Esposizioni, esalta questa lettura mostrando, attraverso un confronto serrato tra la vicenda del profeta e quella di Cristo, come in Daniele fosse già annunciato il Mistero pasquale: «Daniele fu perseguitato e anche Gesù fu perseguitato […]. Gettarono Daniele nella fossa dei leoni, ma si salvò e risalì illeso; fecero scendere Gesù nella fossa dei morti, ma risalì e la morte non ha più potere su di lui. Riguardo a Daniele ritenevano che, dal momento che era caduto nella fossa, non sarebbe risalito; riguardo a Gesù dissero: Da dove è caduto non potrà rialzarsi. Davanti a Daniele furono chiuse le bocche dei leoni famelici e devastatori; davanti a Gesù fu chiusa la bocca della morte famelica, che devasta tutto ciò che ha forma. La fossa di Daniele sigillarono e custodirono con vigilanza; il sepolcro di Gesù custodirono con vigilanza, come dissero: Comanda che vigilino il sepolcro. Quando Daniele risalì furono svergognati i suoi calunniatori; quando Gesù risorse furono svergognati tutti i suoi crocifissori». 

A Ravenna l’immagine di Daniele tra i leoni è presente in diversi contesti. La figura di questo profeta salvato da Dio compare in uno stucco del Battistero Neoniano, nella Capsella dei santi Quirico e Giulitta del Museo Arcivescovile, negli splendidi sarcofagi di Isacio in San Vitale e della Traditio legis nel Museo Nazionale. Sempre nel Museo Nazionale l’iconografia di Daniele compare anche in una piccola placchetta di bronzo e in un’icona databile tra XVII e XVIII secolo. Daniele è raffigurato anche in un pluteo nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo e la sua vicenda è rappresentata anche nel portale ligneo del refettorio del monastero camaldolese di Classe, oggi Biblioteca Classense, opera della fine del XVI secolo di Giovanni Vincenzo e Mario Peruzzi.

Giovanni Gardini

Questo testo è stato pensato ed è presente nel catalogo della Trilogia d’Autunno di Ravenna Festival del 2018.

La trilogia d’autunno, attraverso le tre opere di Giuseppe Verdi, NabuccoRigoletto e Otello, offre lo spunto per riflettere sull’iconografia del leone. Se nel Nabucco il leone sarà promessa di vittoria – il leone di Giuda sconfiggerà gli Assiri e distruggerà la città di Babilonia – e nel Rigoletto richiamerà la potenza della famiglia Gonzaga che ha governato la città di Mantova, in Otello assurgerà a simbolo della città di Venezia che nel leone di san Marco si riconosce. 

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